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Mohamed Dihani. Foto di Amnesty Italia

L’Italia vorrebbe riconsegnare l’attivista al Marocco, nonostante la richiesta di asilo dopo arresti e torture.

Mohamed Dihani è un attivista dei diritti umani Marocco non è un paese sicuro che ha un rapporto speciale con l’Italia perché dal 2002 ha vissuto in Toscana per qualche anno, dopo che da bambino aveva ricevuto le “attenzioni” della polizia marocchina nella sua città natale, El Aiun, tanto da indurre la famiglia a portarlo da uno zio in Italia. Nel novembre 2008 rientra nei Territori occupati per rivedere la famiglia e da allora è stato aspirato in un girone infernale che alla fine, grazie alla solidarietà internazionale e soprattutto ad Amnesty International , lo ha riportato due anni fa in Italia che ora vorrebbe riconsegnarlo alle autorità del Marocco, a dispetto della domanda d’asilo.

Per l’Italia infatti il Marocco è un paese “sicuro”, come lo è anche l’Egitto di Al Sisi secondo una recente decisione del governo, con buona pace di Giulio Regeni. Il Marocco è nella lista dei paesi sicuri fin dalla sua prima formulazione nel 2019, senza alcuna limitazione riguardo a particolari categorie di persone (a esempio i Paesi Bassi, che pure considerano il Marocco paese “sicuro”, hanno escluso le persone Lgbtq+) o limitazioni geografiche, ad esempio per il Sahara Occidentale e per i sahrawi che il Marocco considera sudditi della monarchia e anche terroristi se si battono apertamente per l’autodeterminazione della propria regione.

L’accanimento contro i saharawi 

Con ogni evidenza gli apparati governativi italiani non considerano i rapporti delle organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani, come Amnesty International e Human Right Watch o i rapporti dell’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani (OHCHR) relativi al Marocco e danno credito ad altre fonti, come vedremo. Difensori dei diritti umani, giornalisti, attivisti dei social, responsabili delle associazioni per la difesa dei diritti umani, in Marocco come nel Sahara Occidentale occupato, sono sottoposti a forme violente di repressione: arresti, carcere, tortura, processi iniqui.

Al vertice di questa piramide dell’orrore ci sono tuttavia le attiviste e gli attivisti sahrawi che reclamano il diritto all’autodeterminazione come del resto ribadito costantemente dai vari organi i delle Nazioni Unite, che non a caso hanno iscritto il Sahara Occidentale fin dal 1963 nella lista dei territori non autonomi, e lì è rimasto – unico paese in Africa – anche dopo la parziale occupazione da parte del Marocco dal 1975. Il caso di Mohamed Dihani illustra bene la politica della monarchia marocchina nei confronti dei sahrawi che legittimamente si battono per l’autodeterminazione, ma anche la condiscendenza del governo italiano verso questa politica.

Quando Dihnai torna nel 2008 a visitare la famiglia nel Sahara Occidentale non riesce a partire per l’Italia perché continuamente sottoposto ad “attenzioni” da parte dei servizi marocchini. Il 24 aprile 2010 infine viene sequestrato e portato nel carcere segreto di Temara, dove viene sistematicamente torturato. Per sei mesi è uno scomparso per la sua famiglia che ignora dove sia. Nell’ottobre 2011 viene condannato per terrorismo sulla base di dichiarazioni estorte sotto tortura, e passa nella prigione di Salé. Del suo caso si occupa il Gruppo di lavoro sulle detenzioni arbitrarie dell’Alto Commissariato ai diritti umani dell’Onu, e vede la sua pena ridotta. Dopo quattro anni di isolamento, in condizioni durissime come tanti altri prigionieri politici, viene liberato nel novembre 2015 e mantenuto sotto costante sorveglianza.

Con l’aiuto di Amnesty cerca un paese dove andare, perché il Consolato italiano di Casablanca gli rifiuta il visto, e d’accordo con Amnesty sceglie la Tunisia, dove peraltro viene prelevato da casa in modo informale su pressione del Marocco, che ne chiede l’estradizione. Questa viene rifiutata a condizione che non faccia più propaganda contro il Marocco, ma senza permesso di soggiorno la sua situazione rimane precaria. Con l’assistenza di Amnesty International Mohamed Dihani ricorre davanti al Tribunale di Roma che con due ordinanze del 24 maggio e del 15 luglio 2022 ordina al ministero degli Esteri di autorizzare l’ingresso in Italia al fine di presentare una domanda di asilo, anche perché la Tunisia viene giudicata paese non sicuro per lui. La decisione del Tribunale viene emessa pur in presenza di una segnalazione – di cui non si conosce la motivazione – nella Banca dati del SIS (Sistema Informativo Schengen) come “terrorista”. Ed è così che Mohamed Dihani viene in Italia, e inizia il suo incredibile caso giudiziario, come se non bastasse quello che ha subito dal Marocco.

Contraddizioni giudiziarie 

Nel settembre del 2022 viene ascoltato dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma e successivamente il SAMIFO (Centro per la salute dei migranti forzati) della Asl Roma 1 fa accertamenti che attestano le torture subite. Malgrado prove schiaccianti nel maggio dello scorso anno la richiesta è rifiutata perché il Marocco è un paese sicuro e Dihani sarebbe un pericolo per la sicurezza nazionale. «Il caso di Mohamed Dihani fa luce – commenta a Nigrizia la sua avvocata Cleo Maria Feoli – su un modus operandi della Commissione non in linea con il principio di imparzialità e con il dovere di un congruo esame della domanda, perché il vissuto di persecuzioni è integralmente documentato, mentre spesso le persone richiedenti asilo non dispongono di simili prove». Si decide a questo punto il ricorso al Tribunale civile di Roma che la settimana scorsa lo ha convocato. Dihani esce da questa udienza prudentemente ottimista, la sua attesa non dovrebbe durare oltre l’estate.

Intanto l’attivista ricorreva davanti al tribunale con un’altra iniziativa per conoscere le motivazioni del suo inserimento nella Banca dati del SIS, che risale all’epoca in cui non era più in Italia, e la condanna per “terrorismo” da parte di un tribunale marocchino era stata giudicata illegittima. Il Tribunale di Roma ha riconosciuto l’illegittimità della segnalazione con una sentenza dell’ottobre del 2023, che tuttavia è stata impugnata in Cassazione dall’ Avvocatura dello Stato e l’attivista sahrawi è ancora in attesa della sentenza. Con ogni evidenza le note informative sono redatte sulla base di veline dei servizi segreti marocchini.

L’Italia in sostanza riceve informazioni dal paese che ha torturato e condannato illegalmente Dihani: il cortocircuito è evidente, e la maledizione ora lo accompagna. È accaduto così che nell’ottobre scorso, mentre si trovava a Piacenza per conto di Amnesty, il suo alloggio venisse perquisito nottetempo dalla polizia sulla base della segnalazione all’interno del SIS. Chissà se ne hanno parlato il capo della Polizia Vittorio Pisani e il ministro del’Interno Piantedosi che sono andati in Marocco lo scorso giugno per parlare di sicurezza?

La capacità del Marocco di influenzare le politiche degli altri Stati è bene illustrata sia dall’affare Pegasus, il software israeliano utilizzato da Rabat per sorvegliare gli oppositori interni e i partner stranieri, sia dal Maroccogate, lo scandalo della lobby in seno al Parlamento europeo. La questione delle migrazioni verso l’Europa offre da tempo al Marocco uno strumento in più di ricatto e di condizionamento, nei confronti della Spagna in particolare ma non solo, mentre l’UE finanzia vergognosamente le politiche di respingimento del Marocco e di altri Stati del Maghreb.

 

Sorgente: Marocco paese sicuro? Il caso Dihani dimostra il contrario


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