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Il vicepremier leghista smentisce incontri con il suo omologo mentre sullo sfondo si consuma la crisi sulla Tav. Una tattica già usata su prescrizione e decreto fiscale

Quando il gioco si fa duro, i duri abbandonano il campo. Sembra una tattica studiata quella di Matteo Salvini di smentire all’istante le ipotesi di nuovi e – almeno nelle intenzioni di chi le fa filtrare – risolutivi vertici di governo quando le cose nella compagine gialloverde iniziano a mettersi così male da far rimbalzare più volte l’espressione “crisi di governo”. Di fronte allo stallo sulla Tav e in seguito ad alcune indiscrezioni che fissavano per questa sera un altro vertice con il premier Conte e l’omologo Di Maio per venire a capo della faccenda, il vicepremier leghista ha tagliato corto: “Oggi non c’è nessun vertice, ne riparliamo lunedì”. Problema: lunedì il Consiglio di amministrazione di Telt, la società italofrancese incaricata di costruire il tunnel ferroviario, dovrebbe pubblicare i bandi per 2,3 miliardi di appalti necessari all’avvio dei cantieri del tunnel di base. Proprio quello che i 5 Stelle, come certificato dopo l’incontro di Di Maio con i suoi parlamentari ieri sera, non vogliono. “Non si possono vincolare i soldi degli italiani se non si arriva prima a una decisione”, ha detto il vicepremier grillino in una conferenza stampa a Palazzo Chigi convocata per l’occasione. “Quindi non mi si può dire ci rivediamo lunedì. Questo è un weekend che deve essere di lavoro”. Di Maio ha perciò chiesto al premier Conte di “non vincolare” risorse pubbliche.

Salvini però non ha avuto fretta nel rispondere al suo alleato di governo, per cui non è dato sapere come M5S e Lega pensano di uscire indenni dal week-end. Mentre si fa strada l’ipotesi, avanzata dal leghista Siri, di pubblicare i bandi lunedì “con la clausola di dissolvenza prevista dal diritto francese”, emerge però una costante nelle reazioni di Salvini nelle fasi di maggior frizione con M5S: quella di chiudere la porta accampando altri impegni come giustificazione.

Così è successo, ad esempio, in occasione dello scontro più duro prima di quello odierno sulla Tav. A ottobre scorso scoppia il caos sul decreto fiscale: Di Maio va nel salotto televisivo di Bruno Vespa e denuncia la manomissione del testo ad opera di una “manina” leghista, con l’introduzione di una maxisanatoria con annessa depenalizzazione dell’antiriciclaggio. I toni si fanno accesi, con accuse reciproche su presunti “aggiustamenti” successivi all’approvazione collegiale e su altrettanto presunte incapacità di comprensione elementare del testo letto ad alta voce in Cdm: “Conte leggeva e Di Maio scriveva”, disse Salvini. Giovedì 18 ottobre si fa quindi largo la possibilità di un vertice risolutivo convocato per sabato, ma il leader del Carroccio nega: “Consiglio dei Ministri? Io sabato ho l’appuntamento con la Coldiretti e soprattutto con i miei figli. Il Paese è importante ma sono importanti anche i figli”, dice da Bolzano, dove si trova per la campagna elettorale per le Regionali. “Spero che smettano tutti di fare polemiche, non possiamo convocare consigli dei ministri per riapprovare decreti già approvati ma chiamerò Conte che è una persona squisita”.

Per quanto squisita, il premier non gli risparmiò una replica piccata: “Se ci sarà Salvini al Cdm di sabato non lo so, perché c’è anche la campagna elettorale al Nord. Il Cdm si svolgerà, l’ho convocato io, il premier sono io e decido io che si svolga un Cdm”. Alla fine, per la cronaca, il leader della Lega decise di partecipare al vertice.

Il mese successivo si imponeva la necessità di un altro imprevisto vertice dopo le nuove frizioni tra gli alleati, questa volta sulla riforma della prescrizione. I grillini hanno provato a inserirla attraverso un emendamento parlamentare al Ddl Anticorruzione ma la mossa fatta “dalla sera alla mattina” lascia di stucco i leghisti. La preoccupazione dei 5 Stelle è, in sintesi, quella di restare “fregati”, dando il via libera al Senato al decreto Sicurezza di matrice leghista ma restando indietro alla Camera sulla riforma della prescrizione di matrice grillina. L’emendamento viene ritirato e poi riformulato ma è chiaro che senza un confronto tra Di Maio e Salvini non se ne fa nulla. Il 6 novembre entrambi sono ritornati dai rispettivi viaggi, il primo dalla Cina, il secondo dal Ghana. Spuntano le solite indiscrezioni che vogliono a breve un chiarimento tra i due ma il leghista prontamente smentisce: “Ma quale vertice! Stasera vedo la Champions. Ho un vertice con rigatoni, ragù e Champions League”, dice. Il giorno seguente, stessa storia: “Con Di Maio ci vediamo domani, il mio obiettivo è arrivare a domani sera senza litigi, guardare Betis-Milan e portare a casa almeno un pareggio. E poi domani c’è pure il Consiglio dei ministri”, ma “stasera sono libero”.

Dopo due giorni, Salvini è presente di buon mattino al vertice con Di Maio a Palazzo Chigi: il grillino in una intervista al Fatto Quotidiano aveva appena messo in chiaro che “o si trova l’accordo sulla prescrizione o salta il Governo”. Al termine della riunione il compromesso dà il via libera all’inserimento della riforma nel ddl Anticorruzione, ma solo a partire dal 2020. Nessuno, però, in realtà ha ben chiari i termini dell’accordo: secondo M5s la nuova prescrizione scatta automaticamente a partire dal 2020, secondo la Lega è subordinata comunque all’approvazione della riforma Bonafede sul processo penale. In altre parole: un pasticcio politico. Sulla Tav si va lentamente delineando uno scenario simile, attraverso le “clausole di dissolvenza” per la pubblicazione dei bandi.

Sorgente: “Un altro vertice? Ho da fare”. La tattica della “fuga” di Salvini quando le cose con Di Maio si mettono male | L’Huffington Post


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