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Meloni grida al regime contro Fanpage. E invoca l’intervento di Mattarella. Ma le scene viste nel suo partito sono spaventose e sono state tristemente minimizzate nei giorni scorsi
di Matteo Cazzato
Cara presidente Meloni,
no, questo non è regime. Un’inchiesta giornalistica, come lei sa essendo iscritta all’albo dei giornalisti, deve scoprire la verità dove gli altri vogliono invece nasconderla, e alle volte occorre agire sotto copertura (come è stato fatto tante altre volte nella storia del Novecento). Il metodo non ha nulla a che fare col regime, perché il soggetto che opera in questo caso viene dalla società civile, dal quarto potere che ha il diritto e il dovere di sorvegliare l’operato della politica nell’interesse generale. L’infiltrazione di regime, o para-regime, quella sì che va condannata, ma si distingue perché è messa in campo da soggetti e gruppi politici, o da chi a quei poteri è vicino, come accadeva proprio durante il ventennio o con l’estrema destra paramilitare negli anni del terrorismo. Ma non accostiamo cose lontanissime fra loro, non facciamo errori grossolani.E non scomodi, per favore, il capo dello Stato su questioni del genere, e con domande imbarazzanti. Il suo tentativo prosegue sulla linea della manipolazione comunicativa, che già abbiamo visto in opera più volte in quest’ultimo periodo: giovani che manifestano per la pace e i diritti presentati come squadristi; chi esprime il dissenso tacciato di censura (peccato che questa possa venire sempre e soltanto da chi sta al potere, da quelle persone che fanno norme apposite per reprimere il dissenso, come i recenti ddl Sicurezza in cui si prevede il carcere per chi nel manifestare occupa una strada, o per chi esprime criticità per il preoccupante progetto del ponte sullo stretto).
Le scene viste nel suo partito sono spaventose (vedi la seconda puntata dell’inchiesta di Fanpage) e sono state tristemente minimizzate nei giorni scorsi), ma quei riferimenti culturali non sono poi così lontani da quelli che lei stessa elogiava anni fa. Si cambia? Forse, è possibile. Ma il doppio volto da lei sempre negato, è solo la storiografia successiva a poterlo confermare o smentire, in base a come agirà da qui in avanti, esattamente come è sempre successo per altri casi del passato. In attesa, anzi in vista di quel giudizio della storia, prenda veramente posizione, ma non nel chiuso dei palazzi di partito: davanti allo Stato tutto deve parlare, e non con le due battute rivolte ad un giornalista oltretutto deviando il discorso. Condanni il fascismo e ancora di più il neofascismo (compreso Almirante), pronunci la parola antifascismo, e agisca di conseguenza, mettendo fine agli espedienti comunicativi tesi a introdurre una nuova narrazione. Il Paese non ha bisogno di nuove storie, delle vostre storie, ma di esser libero di mantenere una autentica memoria del passato, e di essere rappresentato in modo consono.
l’autore: Matteo Cazzato è dottore in filologia, Università di Trento
Sorgente: Cara presidente, si chiama libera informazione, non è “metodo di regime” | Left
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