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Israele soffre per la mancanza di opzioni strategiche, e non sa più se continuerà la guerra che sta conducendo nella Striscia di Gaza. Senza un piano per il giorno dopo, senza un accordo tra i componenti del governo e dell’opposizione e senza sapere come raggiungere i suoi obiettivi. Soprattutto dopo che è diventato chiaro, con il passare del tempo, che l’obiettivo di eliminare completamente Hamas e la resistenza è irraggiungibile e contraddice completamente l’obiettivo di liberare detenuti e prigionieri.

Israele, inoltre, non vuole alcuna presenza di Hamas o il suo ritorno, e non vuole il ritorno dell’ANP, ma non trova nessuno tra i locali che possano assecondare la sua richiesta. Non vuole il controllo militare o civile israeliano sulla Striscia di Gaza, non sa se le sue truppe rimarranno nella Striscia, per garantire la sicurezza, e per quanto tempo ne avrà bisogno, nel contesto della creazione sul terreno di zone cuscinetto lungo il confine, che separano il nord della Striscia di Gaza dal sud, e stabilendo siti e fortificazioni permanenti in diverse aree. Sta lavorando affinché la Striscia non costituisca una minaccia in futuro, ma davvero rappresenta ancora una tale minaccia? In fine Israele non sa, se deciderà di ritirarsi, chi potrà sostituirlo?

Ancora più importante di tutto quanto sopra, l’impasse appare su come affrontare la guerra di sostegno condotta dall’asse della resistenza (Hezbollah, Houthi, Iran etc.). Si fermerà se le forze di occupazione passeranno alla terza fase e si “ritireranno” da Rafah, come annunciato dall’esercito pochi giorni fa? Si trasformerà in una guerra più ampia e globale? Rimarrà entro le regole d’ingaggio come ha fatto fino ad oggi?

Nell’esprimere questa impasse strategica, Bezalel Smotrich, il ministro delle Finanze israeliano, afferma che lo Stato occupante deve sferrare un colpo decisivo a Hezbollah adesso. Nonostante il prezzo che pagherà. E la stessa posizione è più o meno condivisa da leader politici e militari israeliani, anche nelle file dell’opposizione, quando parlano di un colpo schiacciante o fulmineo e della creazione di una zona cuscinetto nel sud del Libano.

In futuro il prezzo della guerra sul fronte settentrionale sarà maggiore, se non si raggiungerà una soluzione politica, se non oggi, domani. Se questa “opinione” prendesse il sopravvento e non si raggiungesse un accordo importante che includa almeno gran parte della regione, aumenterebbe il rischio di aprire la porta a una guerra regionale e addirittura a una guerra globale.

Ciò che sta accadendo a Gaza, ha importanti ripercussioni sulla regione e sul mondo e può portare a una guerra, o a grandi guerre, o a soluzioni parziali che portano a una soluzione importante che disegna una nuova mappa della regione.

Una nuova mappa che potrebbe concretizzarsi parallelamente alla mappa del nuovo mondo che sta emergendo a seguito del collasso del vecchio ordine mondiale.

Il dibattito Trump/Biden, le elezioni europee e quelle francesi sono elementi che aggiungono benzina sul fuoco delle crisi regionali e internazionali. Sono i segni dell’ascesa del Nuovo ordine mondiale multipolare.

L’impasse strategica appare anche nella confusione di Yoav Galant, ministro della Difesa israeliano, tra il lancio di un attacco che riporterà il Libano all’età della pietra e il raggiungimento di una soluzione politica!

Il dilemma è che la soluzione politica deve fermare la guerra di annientamento a Gaza, e la guerra di sostegno potrà essere fermata solo fermando la guerra di annientamento a Gaza, alle condizioni imposte da Hezbollah.

Netanyahu non la fermerà perché la sua continuazione è come una polizza assicurativa per la sopravvivenza del suo governo, ed evita di indagare sul fallimento storico del 7 ottobre e così via.

“L’esercito invincibile” non può risolvere la guerra a Gaza, nonostante siano trascorsi nove mesi dallo scoppio e il suo potere deterrente è in caduta libera. Pertanto, lo scenario più probabile finora è che la guerra si raffreddi, passi a bombardamenti e operazioni intense ma non risolutive, e le regole di ingaggio sul fronte libanese rimangano, più o meno, le stesse, senza trasformarsi in una guerra globale, da cui Teheran e Washington non rimarrebbero lontani se dovesse scoppiare.

Affinché l’occupazione israeliana eviti di ammettere la sconfitta, si parla di spostare la guerra alla terza fase, che a volte viene dipinta come una fine onorevole della guerra, e altre volte, secondo Netanyahu e il suo campo, come una continuazione della guerra finché non saranno raggiunti i suoi obiettivi e finché non sarà creata un’amministrazione affidabile per la Striscia, lasciando fuori “Hamas” e l’ANP.

Ciò significa che l’esercito d’occupazione rimarrà nella Striscia di Gaza per diversi mesi. Perché una tale amministrazione ancora non esiste, e non esisterà, anche se abbondano idee e piani israeliani fantasiosi, come il piano presentato da Gallant a Washington, che comprende la divisione della Striscia di Gaza in 24 regioni amministrative separate l’una dall’altra, e comprende anche la formazione di una forza internazionale arabo-americana, alla quale nessun invitato ha aderito, almeno fino adesso.

Tutto ciò accade, in un momento in cui è stato rivelato, e viene attuato con maggiore intensità, ciò che è noto del piano elaborato da Smotrich per cambiare radicalmente lo status della Cisgiordania senza annessione formale e annuncio pubblico.

In questo contesto, le recenti decisioni prese dal governo israeliano sono arrivate come una sorta di compromesso tra due fazioni.

Da un lato, si vuole l’espansione delle colonie, la legittimazione di un certo numero di colonie già esistenti, la creazione di un nuovo insediamento, in cambio della possibilità di riconoscimento dello Stato palestinese da parte di qualsiasi Stato e l’applicazione delle leggi israeliane nelle aree (A) e (B), dove le autorità dell’occupazione prenderanno il controllo civile dell’Autorità Palestinese sulle Aree (B), cosa che è già un dato di fatto nell’Area (A). Intendono, inoltre, punire l’ANP espellendo un certo numero di leader dalla Cisgiordania.

Dall’altro si vuole il trasferimento di 200 milioni di shekel, che fanno parte dei fondi dell’ANP precedentemente rubati dalle autorità di occupazione, e l’estensione della garanzia bancaria per le banche palestinesi per altri quattro mesi, sulla base della raccomandazione dell’esercito di occupazione, e degli apparti dei Servizi di sicurezza, che hanno avvertito che il mancato trasferimento di almeno una parte dei fondi dell’ANP, lo porterebbe al collasso e danneggerebbe la sicurezza israeliana, e questo è ciò da cui hanno messo in guardia anche la Banca Mondiale, l’EU e gli USA.

Ci sono due tendenze, nel governo israeliano: la prima vede la necessità di sciogliere l’ANP, perché la sua sopravvivenza incarna un’unica identità nazionale palestinese, e ciò mantiene la porta aperta alla creazione di uno Stato palestinese, la cui creazione è una minaccia esistenziale per Israele. L’altra ritiene che sia nell’interesse dello Stato occupante, mantenere un’autorità palestinese debole, che si assumerà la responsabilità di fare l’agente di sicurezza, e rimane tra la vita e la morte, sotto il ricatto e le condizioni israeliane, e potrebbe farlo se le sarà permesso di lavorare nella Striscia di Gaza in futuro, dopo la sua riabilitazione e rinnovamento!

Il dilemma di perdere opzioni non si limita a quanto sopra, ma appare piuttosto nelle dichiarazioni rilasciate da più di un funzionario israeliano che ha minacciato di usare armi nel Giorno della Resurrezione. Cioè, armi nucleari (1).

Quanto sopra non significa che l’uso delle armi nucleari sia diventato probabile o inevitabile. Al contrario, è ancora improbabile perché le sue ripercussioni sono pericolose e potrebbero portare a una guerra globale. E la minaccia verbale di usarle pronunciata da funzionari e personaggi pubblici israeliani è sintomo della profonda difficoltà, senza precedenti, che Israele sta vivendo e deve essere presa in considerazione. (2)

Ciò che avverrà dopo il 7 ottobre è molto diverso da ciò che è accaduto prima, e ciò che Israele può fare è molto meno di ciò che era in grado di fare in precedenza. Israele è forte, ma è più debole di prima, e ha bisogno di qualcuno che l’aiuti. Tuttavia, è diventato più estremista e pericoloso, e può pensare di usare tutto ciò che ha, se è esposto a una minaccia esistenziale e perde altre opzioni. La possibilità di questo scenario, anche se finora è improbabile, deve essere una delle motivazioni per raggiungere soluzioni globali o parziali ma decisamente importanti.

 

(1) Dopo che Amichai Eliyahu, ministro israeliano del Patrimonio, appartenente al partito Otzma Yehudit (Potere ebraico) guidato da Itamar Ben Gvir, ha minacciato di usare la bomba nucleare contro la Striscia di Gaza, Israel Katz, ministro degli Esteri israeliano, ha minacciato di usare armi di distruzione di massa contro l’Iran, sulla base del fatto che un sistema che minaccia l’esistenza d’israele, merita di essere distrutto.

Quanto a Yair Katz, presidente del Consiglio dei lavoratori dell’industria aeronautica, ha affermato che Tel Aviv ha un’arma che rompe l’equazione e ha la capacità di usare le armi nel Giorno del Giudizio, sottolineando che ciò che è importante è capire che c’è un pericolo esistenziale.

Ciò che colpisce è che lo storico israeliano Benny Morris ha scritto un articolo sul quotidiano Haaretz in cui ha affermato: “Non c’è momento migliore di questo per sferrare un attacco strategico contro l’Iran”. Ha aggiunto che distruggere il programma nucleare iraniano è un dovere esistenziale per Israele, sottolineando che la sopravvivenza di Israele è più importante delle condanne internazionali e persino delle sanzioni che potrebbero essere imposte a Israele in risposta al suo uso di armi nucleari contro l’Iran.

Nonostante quanto sopra, Morris ritiene che i paesi del mondo accetteranno un attacco militare con armi non convenzionali contro l’Iran, avvertendo che l’Iran possiede armi nucleari. Ma questa minaccia potrebbe far fuggire da Israele – anche se non verrà attuato – ogni investitore o ogni nuovo arrivato, e farà fuggire molti israeliani, confermando che Israele si dissolverà sullo sfondo dei ripetuti attacchi che gli saranno diretti, simili a quanto accaduto il 7 ottobre.

 

(2) È certo che ciò che circola segretamente nei corridoi israeliani è più grande e più pericoloso, soprattutto perché in passato i governi israeliani hanno pensato più volte di prendere di mira gli impianti nucleari iraniani, ma non lo hanno fatto perché non hanno ottenuto il via libera americano e perché non riescono a comprendere la possibile risposta iraniana e a garantire la vittoria. Questo era in passato. Oggi l’Iran e i suoi alleati sono diventati molto più potenti, come dimostrano le guerre di sostegno scoppiate dall’8 ottobre scorso fino ad oggi.

 

 

 

Sorgente: Israele. Confusione e schizofrenia sul day after – Contropiano


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