La bocciatura del decreto liste d’attesa da parte della conferenza delle Regioni e delle Province autonome brucia la propaganda governativa più delle temperature di questi giorni. Unico voto contrario è stato quello del Lazio presieduto da Francesco Rocca. Le Regioni hanno contestato l’articolo 2 del decreto a causa l’intromissione, giudicata incostituzionale, nella verifica e nel controllo delle Aziende sanitarie avvalendosi dei carabinieri, anziché degli uffici regionali. Per questa ragione chiedono la riscrittura del testo.

Il parere delle regioni contesta al governo il fatto che il provvedimento non prevede un finanziamento supplementare dato che «il Fondo Sanitario Nazionale è già largamente insufficiente».

Non va bene nemmeno l’articolo 5 del decreto dedicato al «superamento del tetto di spesa per l’assunzione di personale sanitario». Il testo in questione introduce «limitate ed insufficienti novità per l’anno in corso e poche novità anche per l’anno 2025». Per l’assessore alla Sanità dell’Emilia-Romagna Raffaele Donini «il problema delle liste d’attesa non si risolve frustando la schiena delle regioni. Quanto a noi abbiamo finanziato con nostre risorse e con le risorse del fondo a nostra disposizione, il piano per la riduzione delle liste d’attesa». In Puglia la giunta Emiliano ha stanziato 30 milioni alle strutture private per le visite specialistiche e esami diagnostici. L’inconsistenza dell’iniziativa governativa sulle liste d’attesa agevola dunque il «fai da te» delle regioni.

«Questa bocciatura dovrebbe preoccupare molto il Ministro della Salute e indurlo ad occuparsi seriamente del servizio sanitario nazionale abbandonando la strada dello smantellamento – ha sostenuto la segretaria confederale della Cgil Daniela Barbaresi – È sempre più evidente la volontà del Governo Meloni di privatizzare la salute. Non c’è nessuna vera risposta alle persone che attendono di essere curate e i roboanti annunci pre-elettorali si sciolgono come ghiaccio al sole».

«Quello del governo è un provvedimento parziale, che non risolve i problemi della sanità. È stato giustamente rispedito al mittente dalle Regioni governate in prevalenza dal centrodestra – ha commentato Peppe De Cristofaro (Avs – Il ministro Schillaci ne prenda atto e ritiri il provvedimento». «Schillaci è stato, di fatto, sfiduciato dalle Regioni – ha sostenuto Gian Antonio Girelli (Pd), componente della commissione Affari sociali della Camera -Questo decreto non è la risposta ai problemi della sanità italiana». Per Francesco Boccia (presidente del gruppo Pd al Senato) il decreto è «un bluff: non si fanno le nozze con i fichi secchi».

La presa di posizione delle regioni ieri ha prodotto un sommovimento anche nella maggioranza. Per Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega al Senato, il governo dovrebbe mediare e andare incontro alle regioni. Il senso di questa posizione si spiega con l’autonomia differenziata cara ai leghisti. Nella prospettiva di dare a Lombardia e Veneto le competenze sulla Sanità, oggi intendono garantire alle regioni un sistema di valutazione e monitoraggio. Anche per questo la Lega ha chiesto di cancellare l’articolo 2 del decreto.