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Il reportage dalla capitale libanese dopo l’attacco israeliano. Nei crateri di Dahie affonda un mondo che ora dovrà ricostruirsi

BEIRUT – Un mondo affonda nei crateri di Dahieh scavati dalle bombe israeliane a Beirut Sud, con le macerie che fumano ancora quando all’alba riprendono i raid dell’aviazione e i soccorritori camminano sulle rovine cercando superstiti che non ci sono. Decine, forse centinaia di vittime, nessuno ancora lo sa. In dieci giorni in Libano ci sono stati giù più di 1000 morti. A centinaia fuggono nella notte, a piedi, in scooter, senza più nulla, si accampano in piazza dei Martiri, in centro, e lungo la corniche.

 

 

Sepolto da qualche parte sotto la polvere c’è un pezzo di storia libanese degli ultimi 30 anni: il corpo di Hassan Nasrallah. Quando Hezbollah ne conferma la scomparsa, a metà giornata, un’onda di commozione attraversa la comunità sciita, lasciando l’altro Libano tra inquietudine e sollievo.

Dopo Nasrallah

È la fine di un’era, un movimento tellurico che attraversa tutto il Medio Oriente. “Dopo Nasrallah non sarà più come prima, anche se eleggeranno un nuovo leader, forse Safi el Din, forse Qassim, nessuno sarà come lui, ma ci rialzeremo, più forti, più determinati come lui ci ha insegnato”, dice Ibrahim, appena 20 anni, un ragazzino che ora prova a farsi soldato. L’ufficio dove lavora era un coworking trafficato di giovani sostenitori del movimento, ora è un rifugio per sopravvissuti di Dahieh sprofondato nel silenzio.

 

 

C’è chi ha dormito sul divano, chi sulle sedie. Molti hanno gli occhi lucidi. Mustafa tiene la testa sprofondata tra le mani. “Il movimento è squarciato e noi con lui”, dice solo, cercando un abbraccio consolatorio. Sono ragazzi cresciuti con il mito della Resistenza, dell’invincibilità di Hezbollah, spesso figli di famiglie povere del Sud a cui Nasrallah aveva ridato un ruolo nella società – dopo decenni di marginalizzazione degli sciiti – e una missione, costruendo il suo carisma sulla cacciata degli israeliani dal Sud nel 2000. Azzerata la catena di comando, ucciso il leader, smantellata la rete logistica, svuotata Dahieh, con migliaia di sfollati in tutto il Sud: non è solo un trauma politico, è anche l’esplosione di un sistema.

 

 

Il popolo di Hezbollah

Hezbollah teneva in piedi migliaia di famiglie e al vertice di tutto il meccanismo c’era Nasrallah: salari ai combattenti, indennizzi ai parenti dei martiri, case e welfare alle vedove e ai figli. E adesso, chi se ne occuperà? L’Iran, il grande alleato? “Quelli sono alleati finti”, s’infuria Ibrahim, tradendo il senso di abbandono e umiliazione che vivono in queste ore i militanti.

Le bombe continuano a piovere su Dahieh e sul Sud per tutto il giorno, gli israeliani non si fermeranno, vogliono finire il lavoro, approfittare dello stordimento per affondare il colpo decisivo ripulendo l’area di confine tra Libano e Israele.

 

 

A Beirut l’intelligence militare libanese è in allerta, si temono assalti alle ambasciate e tensioni tra comunità. Ci sono già state in questi giorni, quando militanti di Hezbollah hanno “sequestrato” appartamenti sfitti di drusi e maroniti per metterci dentro i “loro” sfollati provocando la rabbia della popolazione che non vuole essere tirata dentro i loro affari.

La tensione è alta

L’esercito presidia le zone cristiane, due grossi carrarmati nelle due grandi piazze di Aschrafieh. Dal quartiere si sente nitido il rumore delle bombe a Dahieh, solo 7 chilometri più in là. Qui vive un pezzo dell’altro Libano, dell’altra Beirut, per cui Nasrallah non era un padre né un leader, ma il capo di una milizia che ha imposto la sua volontà con le armi, procurando infinti guai al Paese, e infiniti lutti. «Te li ricordi i nomi? Lokman Mohsen Slim, editore sciita libanese, attivista politico e commentatore critico con Hezbollah. L’ex premier Rafiq Hariri, musulmano sunnita. Samir Kassir, intellettuale, democratico, libanese-palestinese», dice al telefono un apprezzato giornalista locale che preferisce non far sapere il suo nome. C’è la paura diffusa che la guerra si farà più grande, più spaventosa ancora, ma anche l’ incognita su quale Libano nascerà adesso, dentro il vuoto di potere lasciato da Nasrallah

 

 

“È finita, it’s over”: sorride Shady, sostenitore delle Forze Libanesi , il partito della destra cristiana, il cui leader Samir Geagea è un sopravvissuto della guerra civile che si è fatto dieci anni in carcere, l’unico dei signori della guerra libanesi. Dopo quel conflitto le milizie cristiane hanno accettato di disarmarsi. La morte di Nasrallah è anche per loro un passaggio storico. «Ha creato un sacco di problemi al Libano, tenevano sotto scacco il Paese», afferma Bassem, druso, del partito socialista. “Oggi è un giorno di dolore per i nostri fratelli sciiti, e io lo rispetto, ma hanno avuto quello che si meritavano, credevano di essere immortali e di poter controllare tutti. Adesso ci siamo organizzando in guardia civile per proteggere le nostre zone, non si sa mai», ci dice quando lo incontriamo ad Hamra, in centro, mentre dà una mano con gli sfollati. «Tra loro c’è anche qualche combattente ma la maggior parte hanno mandato le famiglie sulle montagne”, spiega, come se parlasse di un altro mondo. «Noi libanesi abbiamo un’opportunità storica di riprendere il controllo dello Stato e della sicurezza del Sud di Beirut e del Sud del Libano. Per avere l’esercito libanese a guardia del confine con Israele, non una milizia teocratica che perpetra violenza principalmente contro il suo stesso popolo», scrive Oz Katerji, anche lui giornalista.

Il Libano non più campo di battaglia, ma mosaico democratico, un sogno di pace in giorni di guerra.

Sorgente: Beirut, tra gli orfani di Nasrallah dove il “sistema Hezbollah” costituisce il welfare di famiglie e combattenti – la Repubblica


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