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Il destino di Acciaierie d’Italia è incerto. Alla gara internazionale alcune intenzioni di acquisto riguardano soltanto singoli impianti e non l’intero asset produttivo

Il 21 settembre si è chiusa la fase preliminare di manifestazione di interesse per l’acquisizione dell’ex-Ilva, oggi Acciaierie d’Italia in amministrazione controllata.
Le manifestazioni d’interesse presentate sono una quindicina. Alcune per l’insieme dell’azienda che, ricordiamolo, non comprende il solo impianto di Taranto, ma anche quelli di Cornigliano e di Novi Ligure. Altre riguardano singoli impianti.
Intanto, la crisi della siderurgia italiana si fa sempre più acuta. Vediamo la situazione della Arvedi di Terni che, oltre alla Cassa integrazione programmata per la spesa energetica, è incappata, la scorsa settimana, in un guasto a un forno, che ha causato l’anticipo della fermata della produzione già programmata.

Tutto questo in un quadro molto incerto per l’industria italiana ed europea che pesa inevitabilmente sull’attività della siderurgia.
I sindacati dell’industria metalmeccanica e siderurgica esprimono preoccupazione considerato che alcune delle intenzioni di acquisto presentate per Acciaierie d’Italia riguardano, come detto, singoli impianti. Solo tre prevederebbero l’acquisto dell’intero Gruppo. Rocco Palombella, segretario generale della Uilm-Uil ha affermato: «Rimaniamo convinti che ogni stabilimento abbia bisogno e sia legato agli altri e una vendita a pezzi significherebbe rendere vulnerabili tutti i siti, decretandone la chiusura, a partire da Taranto. Sarebbe una prospettiva insostenibile».
Tutta la vicenda della siderurgia italiana si svolge, inoltre, in un contesto straordinariamente complesso: quello di un mercato intensamente globalizzato caratterizzato da una quantità limitata di player della produzione.

Mercato nel quale la Cina rappresenta, in questo momento, una variabile singolarmente insidiosa. «Ogni anno – spiegava pochi giorni fa un approfondito articolo dell’Economist – la Cina produce tanto acciaio quanto il resto del mondo messo insieme. L’enorme scala della sua produzione – circa 1 miliardo di tonnellate all’anno – è oscurata dal fatto che la maggior parte rimane nel Paese. Tuttavia, ultimamente, le esportazioni cinesi del metallo sono aumentate, raggiungendo i 90 milioni di tonnellate nel 2023, con un incremento del 35% rispetto all’anno precedente. Questo può sembrare una frazione della produzione totale della Cina, ma è più di quanto producano Stati Uniti o Giappone in un anno. Con l’economia cinese in difficoltà, i produttori di acciaio stanno vendendo all’estero a prezzi stracciati, causando preoccupazione tra i concorrenti e i politici stranieri».
In un simile quadro, saranno critici – non meno degli aspetti economici delle offerte presentate – i contenuti che riguardano piani industriali, occupazione, ambiente. E, soprattutto, che esse rappresentino intenzioni estremamente concrete. Dopo tanti anni perduti, la siderurgia italiana, cuore della nostra industria, è di fronte a scelte decisive per la sua sopravvivenza.

Sindacalista e già ministro del lavoro Cesare Damiano è presidente di Lavoro & Welfare

Sorgente: L’ex Ilva e la crisi della siderurgia italiana | Left


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