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Sulla strada tra Tiro e Nabatiye. «Mi hanno detto di andarmene, sono scappata in ciabatte»

di Marta Serafini

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DALLA NOSTRA INVIATA
TIRO, SIDONE E BEIRUT – «In caso di attacco su larga scala è pronto un piano di evacuazione per i civili?». Sono le 11.05 del mattino. Ufficio della protezione civile di Tiro. Il portavoce Bilal Kashmar è a dir poco nervoso, non vuole parlare degli sfollati, non vuole fare commenti sui feriti e non è per niente felice del nostro arrivo. Sul suo telefono, come quello di altri migliaia di libanesi, è apparso un messaggio degli israeliani che invita la popolazione civile ad evacuare.

Cacciati via

Le domande che abbiamo provato a fargli sono ancora lì che galleggiano nell’aria insieme alla sua paranoia, quando un boato spacca i vetri del suo ufficio. Un missile ha centrato una palazzina pochi metri più in là. Poi un altro scoppio e un altro ancora mentre la terra trema, sono munizioni che saltano. «Non vi azzardate a riprendere niente, via, via ve ne dovete andare via, subito», grida Bilal mentre corre sul tetto. È furibondo ora, strilla come impazzito. E ci costringe con la forza delle urla ad andarcene.

 

Tiro, dove in tempo di pace la strada colonnata del tempio romano fa da sfondo ai selfie dei turisti. Tiro che scampò alla furia dei crociati e che nel weekend ci si va al mare. E molo su cui approdò nel 2006 la forza della marina italiana dell’operazione Leonte di Unifil. È solo l’assaggio di una tempesta di colpi che investe tutto il Sud del Paese e la Bekaa.

Sulla strada verso Nabatiye inizia ad arrivare l’elenco dei villaggi colpiti. Molti li abbiamo attraversati nelle ore precedenti mentre era Hezbollah a lanciare verso la Galilea. La lista dei villaggi è infinita. Yater, Zebqine, Sadigine. Abbasiyeh, Kfour, Kafr Sir, Harouf, Habboush, Majdal Zoun, Hawsh Naqoura, Kharayeb, Bint beil e Zefta. Saranno 1.300 a fine giornata i punti colpiti, per un totale provvisorio di più di 350 morti, tra cui 24 bambini e 1.200 feriti.

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«Sono arrivati quelli di Hezbollah e mi hanno detto di andarmene, sono uscita di casa in ciabatte», racconta una donna che preferisce non far sapere nome e cognome. «Ci stanno portando centinaia di feriti che stiamo curando nel cortile dell’ospedale. Proprio come a Gaza», piange al telefono Hassan Wazne, direttore dell’ospedale di Nabatiye.

Le ambulanze

 Troppo pericoloso andare avanti, ripieghiamo verso Sidone, considerata più sicura perché sunnita. La connessione del telefono inizia a saltare.  Le ambulanze sfrecciano, le sirene urlano. Una coppia si ferma. «Veniamo da un villaggio più su, eravamo rimasti gli ultimi. Abbiamo visto esplodere tutto, scappiamo verso Beirut».
È la prima volta dall’8 ottobre che l’Idf bombarda così forte dentro i villaggi. In questi 11 mesi di guerra i missili sono sempre caduti sulle montagne ma ora ad essere colpite sono anche le zone residenziali, con una furia mai vista in questa guerra. Le immagini in rete mostrano esplosioni simili a quella cui abbiamo assistito. I target sono spesso depositi di armi e munizioni che si trovano dentro zone abitate.

La strada costiera si trasforma in un inferno. Si procede di un metro ogni quarto d’ora. Le auto sono cariche di persone, a volte anche in 8 su una sola vettura, i camioncini usati per la frutta sono carichi di bambini o di bestiame, bene prezioso da mettere in salvo. C’è anche chi scappa in motorino con dietro la moglie che stringe tra le braccia un neonato, mentre sulle spalle ha uno zainetto rosa in cui ha buttato alla rinfusa qualche vestito.

Sulla montagna a Ghazie, ricominciano i colpi. Il panico serpeggia nella coda infinita. «E se bombardano anche chi scappa?». Respirare diventa sempre più faticoso a causa dello smog e del fetore delle discariche, l’aria condizionata è spenta per risparmiare carburante. I primi distributori sono già a secco, quelli più avanti danno 20 dollari di gasolio. «Non vedevo una scena così da anni e qui alla guerra siamo abituati», dice il benzinaio mentre prova a districare una matassa di auto.

La protezione civile e le ong si mettono in azione. «A Sidone hanno aperto i primi centri sfollati. Difficile dire ancora quanti saranno. Di sicuro migliaia. Come Intersos, oggi abbiamo sospeso le attività anche perché non sappiamo allo stato attuale quanti dei nostri operatori sono in salvo o meno. Ma nei prossimi giorni sicuramente faremo delle valutazioni per capire le necessità degli sfollati», spiega al telefono Valentina Corona, capo missione della ong italiana operativa in Libano sia a Tiro che a Sidone.

Al tramonto

L’autostrada verso Beirut è un miraggio che diventa realtà solo mentre il sole inizia a calare. Ma nemmeno il tempo di entrare nella capitale che arriva la notizia di un nuovo raid sui quartieri meridionali, roccaforte di Hezbollah, teatro nei giorni scorsi della morte del comandante Aqil. Quattro missili sono caduti a Bir el-Abed. Un altro comandante di Hezbollah è stato ucciso, dicono gli israeliani. Ma il Partito di Dio in serata smentisce: Ali Karaki sta «bene», è in un «luogo sicuro». Intanto una domanda rimbalza nella capitale: «Sarà di nuovo come nel 2006?».

Sorgente: Libano, al Sud, sotto la tempesta di colpi: «Abbiamo visto esplodere tutto» | Corriere.it


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