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Alle urne solo il 27,7% degli aventi diritto in un’elezione in cui molti sfidanti sono stati esclusi da voto

di Leonardo Martinelli

TUNISI – È finita come da copione: Kais Saied, 66 anni, presidente della Tunisia dal 2019, sarebbe confermato per un secondo mandato alle elezioni, che si sono tenute nel suo paese. Lo indicano gli exit poll realizzati da Sigma Conseil, società giudicata affidabile. Ma soprattutto è l’89,2% dei votanti ad avere scelto il presidente attuale, amico di Giorgia Meloni, che gli ha delegato la gestione dei flussi migratori verso l’Italia (frenati a scapito di un trattamento disumano dei subsahariani in transito): insomma, la quota è talmente elevata, da non lasciare spazio a troppi dubbi.

Cosa farà adesso il rais di Tunisi, dal 2021 in discesa verso una deriva autoritaria? Tanti osservatori temono un ulteriore indurimento del regime, ora che si sentirà ancora più forte. Ma partiamo dall’analisi dei dati, che, almeno in parte, sminuiscono il peso di questo apparente sostegno popolare. Sì, perché il tasso di partecipazione è stato basso, appena il 27,7%, contro il 49% registrato al primo turno nel 2019 (quando Saied, allora docente universitario di Diritto costituzionale, austero e ancora bonario, autentico outsider, si era imposto, al ballottaggio, con il 72,7%). Quel 27,7% è quasi la stessa percentuale di votanti che andò alle urne il 25 luglio 2022 per dire sì (in massa, anche in quel caso) al referendum sulla nuova Costituzione voluta da Saied, che ne ha fatto, appunto, un “iperpresidente” dai forti poteri. Un terzo della popolazione rappresenterebbe lo zoccolo duro dei suoi sostenitori. Ma chi sono?

Ieri ha votato solo il 6% della fascia d’età 18-35 anni, mentre la quota sale al 70% dai 36 ai sessant’anni. Alle urne si sono presentati numerosi pensionati e persone più avanti con l’età, tutti sensibili al discorso complottista di Saied (per cui i mali della Tunisia sono provocati da nemici interni e soprattutto esterni, non meglio identificati, forse sistemi di potere europei) e anche a quel conservatorismo, venato dal rispetto per l’islam, che caratterizza il personaggio. I giovani, invece, che speranzosi lo avevano appoggiato nel 2019, gli hanno voltato le spalle. Sette su dieci in Tunisia vogliono partire all’estero, legalmente o illegalmente, come indicato da un sondaggio di Arab Barometer in agosto. È la quota più alta di tutto il mondo arabo. È dovuta a una situazione economica sempre più difficile (40% di disoccupazione tra i giovani, in un paese dove lo stipendio medio è di 300 euro). Anche le libertà sempre più ristrette, in un paese che nel 2011, con la rivoluzione dei gelsomini, avevano conquistato la democrazia, rappresentano una zavorra per la “meglio gioventù” della Tunisia.

Per avere un’idea della situazione, basta ricordare come si sono svolte queste stesse presidenziali. I candidati, Saied compreso, erano inizialmente 17, ma le autorità, ricorrendo a giustificazioni più o meno pretestuose, ne hanno validati solo tre (escludendo Mondher Zenaidi, già ministro ai tempi del dittatore Ben Ali, ma convertito alla democrazia e con serie possibilità di sconfiggere il presidente attuale). Oltre a Saied, erano rimasti in lizza il panarabista Zouhair Magzahoui (che, secondo gli exit poll, ha ottenuto il 3,9%) e Aychi Zammel, candidato liberale, ingegnere chimico e imprenditore di successo, venuto dal nulla, che ha avuto il 6,9%. Ma che già, durante la campagna, è stato arrestato, perché alcuni dei patrocini da lui ottenuti per candidarsi sarebbero falsi (e siamo già a 14 anni e due mesi di carcere per queste irregolarità, che sanno molto di un tentativo di frenarne la corsa).

Intanto, secondo Human Rights Watch, più di 170 militanti, politici e giornalisti sono stati messi in carcere a causa delle loro opinioni.

Cosa farà adesso Saied? “Si sentirà rassicurato e così ammorbidirà il suo sistema di potere? – si chiede Sophie Bessis, storica franco-tunisina, autrice di una “Storia della Tunisia”, pubblicata in francese da Tallandier -. Oppure, potendo contare sulla totalità del potere, lo renderà ancora più duro? Sono ipotesi, ma credo più alla seconda opzione. Temo un indurimento del potere di Saied”. È quanto paventano in tanti a Tunisi. Intanto “dall’Europa non arriva nessuna critica a Saied – osserva Pierre Vermeren, storico, specialista del mondo arabo, docente alla Sorbona di Parigi -. Ma l’Europa non criticava nemmeno i Fratelli musulmani, che stavano dietro agli islamisti di Ennahda, a lungo al potere, dopo l’arrivo della democrazia. E, in particolare dopo il 2021 (ndr, quando Saied ha congelato le attività del Parlamento, spianando la strada alla nuova Costituzione) gli europei non hanno più detto nulla. Fanno la stessa cosa con il Marocco, l’Algeria, l’Egitto. Nel caso della Tunisia non giudicano ma aiutano”. Sono gli aiuti finanziari dati, così che in cambio le forze dell’ordine impediscano ai migranti di saltare un barcone verso Lampedusa. È il “problema” che Meloni, grazie al suo canale privilegiato con Saied, ha risolto per gli europei. Che le stanno tutti dietro. In silenzio.

Sorgente: Elezioni in Tunisia: Saied fa il pieno voti ma l’affluenza è bassa. I giovani gli hanno voltato le spalle – la Repubblica


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