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L’Alto commissario Onu per i rifugiati: «I cessate il fuoco non sono sufficienti»

di Simone Sabattini

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L’Alto commissario dell’Onu per i rifugiati Filippo Grandi parla da un’auto mentre è in viaggio verso una riunione sulla tratta dei migranti al G7 ad Avellino, dopo una serie di incontri con il governo italiano e prima di un complicato viaggio in Libano, dove andrà nei prossimi giorni.

Che situazione si aspetta di trovare?
«La crisi degli sfollati ha proporzioni ormai enormi. «Purtroppo è una crisi che si sovrappone a un’altra, cioè il problema dei rifugiati siriani già esistente. Il governo libanese ha parlato di un milione di sfollati interni. Poi ci sono quelli che vanno in Siria: una stima che è arrivata a 160.000, di cui il 60% circa siriani che tornano nel loro Paese: un ritorno in emergenza. Un movimento incrociato che renderà ancora più complicata l’operazione umanitaria di soccorso».

 

Un cessate il fuoco sembra sempre più difficile nonostante i tentativi. Ha ancora fiducia nella strada diplomatica?
«Guardi, sono appena tornato da New York, dall’Assemblea generale con un senso di impotenza straordinaria. Abbiamo disimparato a fare la pace. A New York abbiamo conclamato che siamo arrivati a una paralisi degli strumenti di ricerca della pace senza precedenti. E ora con la guerra in Libano il problema in Medio Oriente si è raddoppiato perché servono due diverse tregue, per Gaza e per il Libano. Però secondo me anche i cessate il fuoco non sono più sufficienti: serve un processo di pace strutturato, il cessate il fuoco dura pochissimo e si ripiomba in conflitti che sono ogni volta più intrattabili. Serve un disegno politico duraturo con un appoggio internazionale. Quella in Medio Oriente non è una minaccia regionale ma globale. Aggiungo una cosa: noi come Agenzia non smetteremo mai di lavorare. Ma il sistema umanitario è arrivato al massimo della sua capacità. E non si tratta solo del Medio Oriente: guardate il Sudan, una crisi molto più regionale, anche se ha proporzioni gigantesche per quanto riguarda gli sfollati. All’Onu non ho sentito una sola proposta per cercare di imporre la pace. Non ci riusciamo nemmeno lì».

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha definito l’Onu una «palude antisemita» e il segretario generale Guterres è ora «persona non grata» in Israele. I rapporti sono ai minimi termini. 

«Invito tutti a leggere la dichiarazione del segretario generale nella quale condanna con grande equilibrio sia gli attacchi iraniani, sia la reazione israeliana e auspica che ci sia de-escalation da parte di tutti».

E poi c’è l’Ucraina. Sono passati due anni e mezzo dall’inizio della guerra: spesso si è posto il tema del ritorno dei profughi. Ma i rientri sono stati controversi, anche in Italia sono intervenute sentenze. 
«Ci sono persone che ritornano volontariamente in Ucraina, è un bene: gli ucraini non fuggono da violenze del proprio governo ma da un bombardamento di un Paese terzo. Quello che va gestito ed è più delicato riguarda il ritorno volontario dei minori. Bisogna assicurarsi che le strutture che poi si occuperanno di loro in Ucraina siano adeguate. E Zelensky stesso — ne abbiamo parlato — sa che sono molto carenti. In generale dobbiamo continuare a organizzarci per quando questo ritorno sarà possibile. Kiev ne ha bisogno».

Cosa ha ricavato dagli incontri con il governo? 
«Abbiamo parlato di Medio Oriente, di Libano, di flussi in generale, delle strategie del governo e del piano Mattei, cosiddetto, che io considero una buona iniziativa. Serve un approccio panoramico, un investimento molto maggiore a monte degli arrivi. E noi promuoviamo i corridoi umanitari sicuri, che nel continente americano funzionano».

Eppure in Europa c’è chi si chiude, la Germania ha appena ripristinato i controlli alle frontiere. Questo complicherà il vostro lavoro? 
«Complicherà soprattutto la ricerca di soluzioni efficaci. L’Europa ha approvato il patto sulle migrazioni e sull’asilo. Ci saranno due anni di incubazione, ma io credo che sia importante accelerare. Le chiusure indiscriminate delle frontiere finiscono per essere uno scaricabarile fra Paesi: io temo che gli sviluppi politici facciano sì che anche Paesi che precedentemente hanno approvato lo sviluppo di questo patto se ne distacchino».

Il decreto Flussi del governo mette nuovi paletti per le ong rispetto ai salvataggi. Come li valuta?
«Dobbiamo fare un’analisi più accurata: io continuerò a difendere il ruolo delle ong, ma credo che l’Europa si debba dotare, come è stato nel passato, di una capacità di salvataggio in mare».

In Albania l’Italia sta aprendo tra mille problemi i centri migranti dove voi vigilerete e collaborerete. Crede che funzioneranno, le sembrano utili?

«È un approccio nuovo, diverso da quello britannico con il Ruanda, al quale siamo stati fermamente contrari e che troviamo inaccettabile perché scarica le responsabilità. Il piano in Albania è diverso. È positivo che il governo ci abbia chiesto di monitorare, il che è conforme all’articolo 35 della Convenzione sui rifugiati che prevede il nostro ruolo di supervisione delle sue applicazioni. A tempo debito diremo pubblicamente cosa ne pensiamo».

Sorgente: Filippo Grandi (Unhcr): «Siamo alla paralisi della diplomazia, ma lo sforzo umanitario è allo stremo» | Corriere.it


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