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Ucciso Sinwar, il capo di Hamas sopravvissuto e un imputato in meno per Corte penale internazionale. Cinque mesi da quando il procuratore e ha chiesto l’arresto dei leader di Hamas, del premier israeliano Netanyahu e del ministro della Difesa Gallant. Da allora, nessun sopravvissuto di Hamas mentre Netanyau-Gallant stanno colpendo le postazioni Onu in Libano e preparando il grande attacco all’Iran viaggiando per le cancellerie del mondo

Per la Corte penale la Palestina almeno esiste

Eliminati i vertici noti di Hamas, alla Procura del tribumale penale internazionale restano da perseguire, se mai accadrà, gli imputati israeliani. A due dei dei leader israeliani la procura imputa ‘presunti’ crimini di guerra tra cui l’uso deliberato della fame come metodo di guerra, attacchi intenzionali contro la popolazione civile di Gaza, e crimini contro l’umanità tra cui sterminio e persecuzione. Una decisione dalla valenza storica: dopo 15 anni da quando lo Stato di Palestina ha accettato la giurisdizione della Corte penale internazionale, la CPI sembrava pronta a porre fine alle impunità di cui i leader politici e militari israeliani godono da sempre. Sembrava.

Indagini ‘molto meditate’

Non pochi problemi attorno a quell’atto d’accusa dettagliato, osserva critico sul Manifesto, il professor Triestino Mariniello, professore di diritto, Liverpool John Moores University, esperto in giustizia penale internazionale e diritti umani. «Primo, il ritardo con cui queste richieste sono arrivate: il 20 maggio 2024 quando a Gaza erano già state uccise 35.700 persone, oltre due milioni di palestinesi erano stati sfollati e una lunga lista di crimini di guerra e contro l’umanità erano già stati commessi. Secondo, le indagini non coprono per ora crimini ampiamente documentati, come il trasferimento forzato di circa due milioni di persone, i crimini commessi contro i detenuti palestinesi e potenziali atti di genocidio, sulla cui plausibilità si è già espressa per ben tre volte la Corte internazionale di giustizia».

Quasi una requisitoria contro la Corte

Ad esempio risultano esclusi i crimini commessi dalle autorità israeliane nei Territori palestinesi occupati prima del 7 ottobre 2023, quasi a sostenere che tutto è cominciato solo un anno fa. Di fatto, a cinque mesi dalle richieste della procura, la ‘Camera preliminare’ della Cpi che si deve pronunciare sull’emanazione dei mandati di arresto, ancora ‘medita’. Ritardo imputabile alle pressioni di alcuni Stati, prima la Gran Bretagna, che sostiene che la Corte non avrebbe giurisdizione sui cittadini israeliani. Successivamente al cambio di governo, la Gran Bretagna ha ritirato la richiesta, subito ripresentata in forme simili da altri Stati, uniti.

Chi si oppone ai mandati di cattura

Singolare posizione degli Stati uniti che pur non facendo parte della Corte, risultano leader dell’opposizione ai mandati di cattura. Ma le posizioni ‘equivoche’ sono molte altre. La Germania che puntualmente si oppone all’intervento della Cpi nel contesto israelo-palestinese. L’Italia non è intervenuta nel procedimento ma ha criticato le richieste di arresto contro Netanyahu e Gallant. «Paragonare Hamas, terroristi, a leader democraticamente eletti», sproloquia un ministro. Peccato che la Corte giudica gli individui e non gli stati, e che –l’essere stati eletti-, non è lasciapassare alla commissione di crimini. Anche se per certa politica…

Le diverse velocità d’indagine e decisione

Se la stessa Corte in altri contesti è stata molto celere nell’emettere mandati di arresto (esemplare caso del presidente russo per crimini di guerra commessi in Ucraina), l’attuale ritardo diventa particolarmente grave di fronte all’escalation della tragedia Gaza, ormai abbondantemente oltre le 40mila vittime, la Cisgiordania preda dei coloni criminali, e ora il Libano. Pressioni inammissibili ma assieme evidenti. Qualche mese fa un’inchiesta del Guardian ha svelato come l’ex direttore del Mossad avesse in più occasioni minacciato la precedente procuratrice capo della Cpi Fatou Bensouda che è stata la prima ad aprire ufficialmente le indagini nel caso Palestina.

La Corte a un bivio

Agire in linea con il proprio mandato, valutare le richieste di Khan sulla base delle prove documentali presentate ed emettere i mandati di arresto, o arrendersi alle pressioni e alle minacce. Questa seconda strada rappresenterebbe la definitiva negazione di giustizia per le vittime palestinesi, per le quali la Corte rappresenta l’unico strumento a disposizione. Fine della Corte come istituzione indipendente, oltre a confermare le ragioni alla base della crescente diffidenza dul progetto di giustizia penale internazionale tra i paesi del Sud del mondo.

Credibilità di un’istituzione già minata dai mancati processi per crimini internazionali commessi dalle truppe britanniche in Iraq e da statunitensi in Afghanistan. Giustizia asimmetrica, che discrimina sia le vittime che i responsabili di crimini internazionali sulla base della loro nazionalità.

 

Sorgente: Giustizia internazionale: atti d’accusa, i sopravvissuti e i politici impuniti – Remocontro