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di Lorenzo Tosa

Ieri sera Edoardo Prati ha battezzato la sua prima vera esperienza televisiva, a “Che tempo che fa”, e in pochi minuti ha ricordato e ci ha ricordato cos’è il Servizio Pubblico.

In un Paese in cui si parla a caso di “merito” (trasformandolo addirittura in un ministero) e s’impone agli studenti di decidere a 15 anni chi essere e cosa diventare, ha raccontato la scuola come “il luogo sacro della disobbedienza nei confronti di sé stessi”.

Ha rivendicato il diritto fondamentale per i giovani studenti di esplorare infinite strade senza l’ansia, la pressione, la “furia” di definirsi.

Ha citato Machiavelli e smontato la dittatura del “servire” e del “riuscire” in nome della semplice passione e virtù da coltivare senza uno scopo preciso.

Ha fatto qualcosa che in televisione non si vedeva da decenni. Cultura non semplicemente divulgativa ma cultura alta, cultura come atto meramente speculativo ed esercizio intellettuale del dubbio.

E ha fatto tutto questo a 20 anni.

Quello di Edoardo Prati è stato un momento di televisione civile e civica in un tempo e in un clima in cui la cultura viene respinta, osteggiata, censurata, vissuta con sospetto.

Edoardo Prati ieri, da Fazio, su un’emittente privata, ha fatto qualcosa che la Rai non fa più da anni: Servizio Pubblico.

 

Sorgente: Facebook.com


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